Sarà inaugurata il 16 marzo, alle ore 18:00, nell’atelier della “Bottega Mastro” in via Messapia, 42 a Grottaglie (Ta), la decima edizione di Mulieribus, mostra d’arte dedicata alle donne, ideata nel 2014 dal maestro Oronzo Mastro.
Attraverso l’immagine della giovane Armita Geravand – diciottenne curda uccisa dalla Polizia morale per non aver indossato correttamente il velo islamico – impressa sul manifesto, quest’anno la mostra vuole accendere i riflettori sulla complicatissima condizione che sono costrette ad affrontare le donne iraniane e sulle battaglie che spesso costano loro la vita. Senza mai dimenticare tutte quelle donne che in Italia ed in tutto il mondo, muoiono per mano di uomini violenti.
“Ogni anno, durante la serata inaugurale di Mulieribus – ha detto il maestro Mastro – il nostro augurio è che la prossima edizione veda la scomparsa del femminicidio dalle cronache e dalla cultura italiana e mondiale. Poi, le notizie ti riportano ad una realtà immutata, se non peggiorata. E la cosa è accentuata quando vieni a sapere che, stando ai sondaggi, una parte considerevole dei giovani sostiene che la gelosia sia una forma d’amore; che il partner ha diritto di accedere al cellulare dell’altro; che qualche schiaffo sia normale. Mi chiedo: tutte le battaglie iniziate dalle suffragette, tutte le lotte femministe, che fine hanno fatto? Tutto inutile? Tutto cancellato? Ci indigniamo per la sorte delle donne in Iran, Afganistan, Emirati Arabi e noi? Noi che ci riteniamo “moderni”, “emancipati”, noi, i nostri ragazzi, il nostro futuro, pensiamo ancora alla donna come a una proprietà? Un immenso scoramento mi assale, ma mi piace ancora sperare che domani è un altro giorno, anche se è difficile”.
“Parlare di donne iraniane – ha concluso Mastro – significa non solo raccontare quanto una cultura patriarcale e maschilista possa essere pericolosa, ma anche ricordare come nessun diritto può considerarsi acquisito. È necessario educare i nostri giovani al rispetto di genere e a non abbassare mai la guardia sui diritti. E noi, attraverso Mulieribus, vogliamo contribuire a non far spegnere i riflettori sull’argomento”.
La mostra “Mulieribus”
Saranno 36 i partecipanti: Maria Aloi, Ambra Accornero, Maria Arces, Domenico Arces, Claudio Ardizio, Dany Bigotta, Barbara Bovio, Maria A. Bussi Laverone, Alfredo Caldiron, Maria Giovanna Campagnolo, Luciana Casati, Eugenio Cerrato, G.P. Colombo, Mirella Gelmetti, Tommy Ducale, Giannina Gobatto, Adele Filomena, Lucia Macrì, Rita Intermite, Rosy Mantovani, Francesco Mastro, Oronzo Mastro, Sara Mastro, Enrico Meo, Mariolina Morciano, Flavia Neglia, Alberto Petrelli, Tina Quaranta, Francesca Pia Santoro, Fausta Roussier Fusco, Mauro Roussier Fusco, Dino Spagnulo, Giovanni Spagnulo, Lidia Tangianu, M. Stefania Tornese e Irene Vaglia.
All’inaugurazione prenderanno parte, oltre l’ideatore professor Oronzo Mastro e la co-organizzatrice Anna Rita Palmisani, la professoressa Vincenza Musardo Talò e la psicoterapeuta dr.ssa Vitanna Curigliano. Sponsor dell’evento: “Quaranta forniture per ceramisti”, “Schiena Vini” e “Teatrando”. La collettiva sarà visitabile ogni venerdì, sabato e domenica, dalle 19:00 alle 21:00, fino al 7 aprile.
Chi è Armita Geravand
Il 1° ottobre 2023, Armita Geravand (in persiano مهسا امینی, Kermanshah, 2 aprile 2006 – Teheran, 28 ottobre 2023) studentessa curda con cittadinanza iraniana, è entrata in coma nella metropolitana di Teheran dopo essere stata aggredita dalla Polizia morale per non aver indossato correttamente il velo islamico. Da allora è stata ricoverata nell’unità di terapia intensiva di un ospedale dell’esercito, dove il 22 ottobre 2023 le è stata diagnosticata la morte cerebrale ed è stata ufficialmente dichiarata morta il 28 ottobre dello stesso anno.
L’incidente è stato paragonato alla morte di Mahsa Amini, conosciuta anche come Zina o Jîna Emînî (in persiano مهسا امینی; Saqqez, 21 settembre 1999 – Teheran, 16 settembre 2022). Mahsa fu arrestata Il 13 settembre 2022 dalla polizia morale nella capitale iraniana (dove si trovava con la sua famiglia in vacanza) a causa della mancata osservanza della legge sull’obbligo del velo, in vigore dal 1981 (poi modificata nel 1983) per tutte le donne nel Paese, sia straniere che residenti. Dopo essere stata arrestata per aver indossato l’hijab in modo sbagliato (considerato troppo allentato) e condotta presso una stazione di polizia, la giovane è in seguito deceduta in circostanze sospette il 16 settembre, dopo tre giorni di coma, suscitando l’indignazione dell’opinione pubblica. La morte di Amini ha scatenato proteste in tutto l’Iran, conosciute come il movimento “Donna, vita, libertà”. In risposta, il regime ha represso le dimostrazioni e ha rafforzato le leggi sull’abbigliamento islamico.