Come ogni anno, a Martina la sera del Sabato Santo il lungo periodo quaresimale si conclude con lo sparo e la bruciatura della “Quarantena”, fantoccio rituale in forma di vecchia simboleggiante la Quaresima, preparato dalla solerte dottoressa Anna Marangi Fumarola. Piazza Garibaldi, ore 20:00.
Se si visitano i paesi della Valle d’Itria durante la Quaresima si è inevitabilmente incuriositi da fantocci con le sembianze di vecchiette terrifiche sospesi con fili tesi tra le case ai crocicchi e negli slarghi dei centri antichi, un’orrida allegoria della Quaresima. Si sa che la Quaresima per i cattolici era alle origini un periodo di privazione opposto all’abbondanza simboleggiata dal Carnevale appena conclusosi. Carnem levare, togliere la carne, da cui Carnevale, in origine alludeva al mercoledì delle Ceneri, il primo giorno di Quaresima che si concludeva il Sabato Santo. Quaranta giorni di astinenza dai cibi grassi, carni, uova, latte e derivati dopo i sollazzi del Carnevale, quando tutto era concesso in funzione della penitenza che incombeva dopo il martedì grasso. Quaranta giorni di privazioni (quadragesimam diem) che ricordano il periodo che Gesù Cristo passò nel deserto nutrendosi solo di erbe ma soprattutto nutrendo il suo spirito. La privazione dei cibi grassi durante la Quaresima per i cattolici assumeva, e assume per chi rigorosamente ancora osserva l’usanza, una connotazione simbolica come percorso di purificazione preparatorio alla Santa Pasqua. L’immaginazione popolare, si sa, trasforma tutto in simboli molto più efficaci e comunicativi. Così è nata la Quarantana, la vecchietta sospesa tra i vicoli, vestita poveramente con in mano il fuso per filare, una fascina o comunque strumenti che simboleggiano il lavoro quotidiano, domestico soprattutto. La tradizione popolare la considerava la moglie del Carnevale che si era spento il martedì Grasso. Per questo, affranta dal dolore, la Quarantana ha un aspetto dolente e trasandato e porta sempre con sé alcuni cibi che ne rammentano l’astinenza obbligata e qualche oggetto. Le varianti di paese in paese e in altre regioni dell’Italia meridionale sono minime. In Valle d’Itria si vedono i taralli, 7 come le settimane quaresimali, in altre regioni un’arancia con 7 penne di gallina infilzate a raggiera; i salumi, un fiasco di vino. Curiosa è la grattugia, in Valle d’Itria, che rammentava di non mangiare formaggi, che si sostituivano sui primi piatti con il pan grattato. A Martina Franca si vedono anche le forbici come ammonimento ai bambini ai quali la Quarantana avrebbe mozzato la lingua se avessero trasgredito con i cibi proibiti. Le macellerie anticamente rimanevano chiuse, tranne un giorno a settimana in cui il macellaio era autorizzato dal clero a distribuire la carne ai malati. Né uova e né latte si consumavano. Succedeva, infatti, che durante la Quaresima nelle masserie si trasformava tutto il latte munto quotidianamente in formaggio che sarebbe stato venduto stagionato dopo la Pasqua. Le uova, naturalmente, si accumulavano e usanza era, di pochi gruppi di suonatori e di cantori, di visitare masserie e case rurali dal Sabato Santo fino alla mattina di Pasqua per questuare uova o altro. Nasce forse così l’usanza della immancabile frittata del Lunedì dell’Angelo, la Pasquetta, proprio per impiegare tutte le uova accumulate. Trascorso il tempo, il Sabato Santo, giorno della Resurrezione, la Quarantana finiva di campare o a colpi di schioppo o arsa, rito quest’ultimo ancora in voga. Il fuoco purificatore arricchisce il rito di altre simbologie. Dal fuoco i contadini traevano gli auspici della buona annata; il fuoco rappresentava la vittoria dell’abbondanza sulla povertà (l’astinenza quaresimale); la vittoria della vita (la rinascita, la primavera) sulla morte (l’inverno). Questi elementi culturali evidenziano certamente una origine pagana del rituale, legato per esempio alle culture agricolo-pastoriali dei popoli indoeuropei, che con il fuoco celebravano il rigenerarsi della natura dopo l’inverno. La simbologia di cui la Quaresima e la Quarantana sono cariche hanno un significato che travalica i confini religiosi, forse un invito a cercare una sintesi tra gli eccessi dell’abbondanza e i rigori delle privazioni, per trovare una più moderata forma del vivere tra gli inevitabili bene e male.