Giornata particolarmente amara quella del 4 marzo 2005 a Grottaglie, quando in pochi attimi venne cancellata una preziosa testimonianza storica e artistica col crollo dell’oratorio della Confraternita del SS.mo Sacramento, risalente alla fine del Cinquecento e contiguo alla zona absidale della Chiesa Collegiata Maria Ss.ma Annunziata.

Le conseguenze di quel crollo, anche a causa delle abbondanti piogge di quei giorni, misero tutti in allarme per i gravi rischi che il più importante tempio cittadino correva, al punto che fu necessario provvedere, tra l’altro, alla rimozione dalla calotta absidale della grande tela raffigurante la titolare, cioè la Vergine Maria Santissima Annunziata.
Giornata invece particolarmente felice questa di domenica prossima 11 giugno 2017, dedicata alla presentazione del restauro di quella tela che, mestamente ravvolta e depositata nella cappella del Crocifisso, ha atteso pazientemente quasi 12 anni prima di tornare a risplendere più bella di prima nel suo sito originario.

Un piccolo miracolo avveratosi – dice emozionato il parroco D. Eligio Grimaldi – grazie alla sensibilità e al concreto contributo di tanti amici, del “Lions Club” Grottaglie, dalla “Pluriassociazione S. Francesco De Geronimo” e in particolare del dott. Roberto Burano che allo scopo ha stampato e devoluto i proventi della sua importante pubblicazione su Vincenzo Calò, medico, imprenditore ceramico e filantropo grottagliese. La tela – continua D. Eligio – affidata alla perizia e alla professionalità della ditta Maria Gaetana di Capua di Martina, è stata sottoposta, sotto l’egida della “Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Brindisi, Lecce e Taranto”, a un lungo e paziente restauro reso più impegnativo dalle sue straordinarie dimensioni (670 cm base x 428 cm altezza) che hanno richiesto l’utilizzazione di un ampio locale nelle vicinanze messo a disposizione dal dott. Franco Spagnulo”.

Occasione per la realizzazione della grande tela semicircolare appena restaurata fu la scomunica (più precisamente l’Anathema) fulminata nel 1674 dall’arcivescovo di Taranto sugli occupanti del territorio della cosiddetta Foresta Tarantina (nei pressi del santuario di S. Maria della Mutata) di proprietà della Mensa arcivescovile. Pertanto, il dipinto che occupa interamente la calotta absidale, rappresenta il segno di pentimento di quanti si erano resi colpevoli del misfatto, per ottenere l’assoluzione dalla severa censura ecclesiastica.
Preziosa a questo scopo è un’iscrizione passata inosservata fino a pochi anni fa e che si può leggere alla base di una grande colonna dipinta sulla parte sinistra della tela: iscrizione che, tradotta, recita:
A DIO OTTIMO E MASSIMO. / PER LA RESURREZIONE / DAL TREMENDO FULMINE DELL’ANATEMA / QUESTA PROVA DELL’ESECRATA COLPA / QUESTO SIMBOLO DELLA PROVATA PIETÀ
SUPPLICI POSERO / QUANTI NEGLI ANNI DA POCO TRASCORSI / LA SACRA IMMUNITÀ ECCLESIASTICA / VOLLERO LEDERE. / L’ANNO DELLA SALUTE / 1674
La successiva ricerca nel locale Archivio Capitolare ha offerto la spiegazione storica al laconico testo dell’iscrizione. Grazie alla documentazione allegata conclusione capitolare del 23 ottobre 1674 abbiamo così potuto apprendere che quel giorno, in pieno Capitolo formato da una cinquantina di ecclesiastici (arciprete, canonici e preti), venne letta pubblicamente una missiva pervenuta dall’arcivescovo di Taranto, il domenicano Monsignor Tommaso Sarria, contenente la scomunica contro gli usurpatori della “Foresta Tarantina” che apparteneva alla Mensa Arcivescovile.
Prima della lettura, mentre le campane suonavano tristi rintocchi di morte, si tenne il rito della scomunica: i capitolari pregavano e maledicevano, tenendo in una mano una candela accesa e nell’altra una pietra; candele e pietre che vennero lanciate in un punto in cui si immaginavano riuniti i responsabili del delitto e cioè gli amministratori del tempo della locale Università o Comune (ossia il sindaco, gli Eletti, i Deputati, il Consultore, il Governatore Criminale e il Banditori, dei quali, dieci in tutto, si riportano anche i nomi).
A seguito di questa drammatica vicenda gli scomunicati, in espiazione e per l’assoluzione del delitto commesso negli anni precedenti, furono costretti a dare un segno concreto del loro pentimento facendo dipingere, ovviamente a loro spese, la grande e bella tela dell’Annunciazione che, così non solo tramanda il ricordo di una inquietante pagina di storia grottagliese, ma rimane anche la testimonianza dell’ottenuta assoluzione.

È facile intuire che a chiedere agli amministratori scomunicati, come tangibile segno di pentimento e di pietà, la realizzazione della grande tela dell’abside sia stato lo stesso Mons. Sarria: un comando che evidentemente tutti gli scomunicati furono costretti ad accogliere lasciando in tal modo una testimonianza significativa non solo di sottomissione e di pentimento, ma anche di arte e di cultura appunto alla Chiesa Madre intitolata all’Annunciazione della Vergine Maria,
La scena che osserviamo nella tela, come nella maggior parte delle raffigurazioni dell’Annunciazione, si inscrive all’interno dell’abitazione di Maria: una stanza ampia cui si accede attraverso una sorta di porticato prospetticamente segnato da un semplice colonnato con ingresso che non mostra però alcuna luce esterna. Tutto appare avvolto in una oscurità diradata soltanto dal bagliore divino che si diffonde all’intorno partendo dalla zona centrale superiore, dominata dall’Eterno Padre attorniato da angeli, nembi e puttini. Una luce che si accentua nell’immagine della colomba simbolo dello Spirito Santo che rischiara i vari elementi e avvolge in particolare l’umile ancella del Signore: una scena creata ad arte per comunicare l’arcano momento in cui il Verbo si fa carne e rimanda al fondamentale del mistero dell’Incarnazione, espresso con la risposta affermativa della Vergine Maria all’annuncio dell’arcangelo Gabriele.
Siamo di fronte a una composizione ispirata in buona parte da precedenti raffigurazioni pittoriche e segnatamente da incisioni cinque-seicentesche, ma riproposta in modalità e caratteristiche proprie di un’arte pittorica tardo barocca, evidenziata in particolare dall’abbigliamento vistoso e sovrabbondante della Vergine e dell’angelo, dalle fluenti e appariscenti capigliature degli stessi, dall’ingombrante e pesante drappo fastosamente guarnito, dal grande leggio ricoperto con panno finemente rabescato.
Nonostante lo sforzo dell’autore di ancorare tutto a una dimensione di più domestica semplicità, si respira un’aura di grave solennità accentuata dal diffuso chiaroscuro generale: dal libro spalancato sull’artistico leggio ricoperto da prezioso panno rabescato, al pavimento ad ampi riquadri bicromi; dal rasserenante giglio bianco tenuto in bella evidenza dall’angelo all’inquietante gatto posto all’estremità destra della tela, che col suo ambiguo volto tra l’umano e il luciferino, manifesta, in consonanza a una radicata tradizione, un’evidente connotazione negativa.

Non conosciamo l’autore dell’opera. Nessuna firma compare sulla tela e nessun riferimento è stato rintracciato nei documenti. Possiamo soltanto ipotizzare, sulla scorta dell’analisi stilistica e con l’osservazione delle tante raffigurazioni dell’Annunciazione, sia su tela che su incisioni dei secoli XVI e XVII, che egli, non sia estraneo agli influssi della Scuola Napoletana del Seicento.
Un attento studio comparativo con opere coeve, partendo magari anche dalla realtà grottagliese non priva di testimonianze dello stesso periodo (si consideri la presenza di opere di Francesco Corduba, del Finoglio, del Cunavi, del Santafede, oltre che di uno sconosciuto Francesco D’Aragona nativo proprio di Grottaglie), potrà collocare più precisamente il nostro autore all’interno di quel complesso capitolo della pittura pugliese del Seicento condizionata da quella della capitale partenopea.

Un’opera che conferma quanto in proposito osservava già Michele D’Elia: “L’ambiente locale [pugliese], permeato a lungo di cultura manieristica, nel quale rientrano anche le ultime importazioni da Venezia (Palma, Padovanino, Prudenti) e quelle che iniziavano a confluire da Napoli (Ippolito Borghese, Imparato, Santafede, Azzolino) oppone una tenace resistenza al gusto dei tempi nuovi che a Napoli si era tradotto essenzialmente nella adesione al verbo caravaggesco”.

L’Annunciazione di Grottaglie, anche se tardivamente, conferma con le forti tinte e con l’uso del marcato chiaroscuro, un’adesione alla pittura di scuola napoletana da parte di un Autore non ancora identificato che, pur legato a echi e suggestioni passate, non disdegna di operare la trasposizione scenografica in un maturo Seicento.

Grottaglie e il territorio jonico-salentino ritrovano così un pezzo significativo della loro storia, della loro arte e della loro cultura che, restaurato e riposizionato nell’abside, verrà illustrato domenica 11 giugno alle ore 20.00 nella storica Chiesa Madre Collegiata sita in piazza Regina Margherita a Grottaglie.
Il programma prevede il saluto iniziale da parte del parroco D. Eligio Grimaldi; di Ciro D’Alò, sindaco di Grottaglie; di Luisa Radicchio, presidente del“Lions Club” di Grottaglie; di Roberto Burano, presidente dell’associazione “Koinè Culturale” di Grottaglie e di Ciro De Vincentis, presidente della “Pluriassociasione S. Francesco De Geronimo”. Seguirà un omaggio musicale alla Vergine Maria con l’esescuzione dell’Ave Maria, di Giulio Caccini (Vladimir Fëdorovič Vavilov, 1925–1973) e della Salve Regina, in do min., di Giovanni Battista Pergolesi (1710-1736) da parte del soprano Angela Kiss, accompagnata all’organo rinascimentale dal prof. Cosimo Annicchiarico. Toccherà poi a Rosario Quaranta, Socio Ordinario della Società di Storia Patria per la Puglia, e alla restauratrice Maria Gaetana Di Capua tenere rispettivamente la relazione storico-artistica e la relazione tecnica.

Le conclusioni di questa che si preannuncia una serata di sicuro interesse storico, culturale e artistico sono affidate D. Francesco Simone, responsabile dell’Ufficio Beni Culturali dell’Arcidiocesi di Taranto.